Libri
MALATI DI NIENTE
manuale minimo di sopravvivenza psichiatrica
INDICE 1.Dedica 3.Introduzione 5.Malati di niente
  2.Manuale di autodifesa 4.Modelli legali 6.Bibliografia


MANUALE DI AUTODIFESA

ACCERTAMENTI E TRATTAMENTI SANITARI OBBLIGATORI

(ex L. 833/78 artt. 33 e segg.) guida all'autodifesa

Io sono un mago. una magia mi ha portato qui.
Il guaio è che non ricordo più la magia per uscire
(un ricoverato)


La legge italiana (L. 833/78) sancisce la norma che i trattamenti psichiatrici sono volontari. Ciò significa che tali trattamenti vanno richiesti e accettati da chi li subisce. Non solo. Occorre anche che la persona sia informata del tipo di terapia, della natura e degli effetti che essa produce.

Chiunque sia stato (o sia) in cura presso i servizi psichiatrici sa quanto ciò sia lontano dalla realtà delle pratiche psichiatriche. Ciononostante deve essere chiaro che è nostro diritto rifiutare le terapie che ci vengono somministrate, esserne informati, essere dimessi da qualsiasi struttura in cui siamo ricoverati.

Esiste una sola possibilità in Italia per essere sottoposti contro la nostra volontà a trattamenti psichiatrici: il Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.).

Possiamo essere ricoverati coattivamente solo in presenza di questo provvedimento e solo nei reparti psichiatrici istituiti presso gli ospedali generali. Non possono in nessun modo ricoverarci, senza il nostro consenso, presso altre strutture pubbliche o private (reparti psichiatrici del policlinico, comunità protette, case famiglia, cliniche private...).

Chiunque ci trattiene contro la nostra volontà all'interno di una qualsiasi struttura psichiatrica che non sia il reparto di un ospedale civile, è passibile di essere denunciato per sequestro di persona e maltrattamenti. Lo stesso vale se siamo ricoverati in un reparto psichiatrico in mancanza di un provvedimento di T.S.O. In mancanza di tale provvedimento nessuno può costringerci ad assumere o sottoporci a qualsiasi tipo di terapia psichiatrica.

Abbiamo diritto di rifiutare le visite psichiatriche. Possiamo essere sottoposti a visita contro la nostra volontà solo in presenza di un provvedimento di Accertamento Sanitario Obbligatorio (A.S.O.). Non siamo tenuti o obbligati a sottoporci a controlli psichiatrici. Se, come accade, veniamo minacciati di ricovero coatto per farci accettare le cure, il nostro consenso non è valido in quanto estorto.

La normativa che riguarda gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori si riferisce alla Legge 180 del 1978 (meglio conosciuta come legge Basaglia), poi inglobata nella legge di Riforma Sanitaria n. 833/78, art. 33 e seguenti. In atto, nonostante diversi tentativi falliti di modifica, gli articoli della L.833 regolano in Italia la possibilità di essere sottoposti a interventi psichiatrici coatti.

L'Accertamento e il Trattamento Sanitario Obbligatorio vengono disposti dal Sindaco del comune di residenza (o presso cui ci si trova). Il provvedimento deve essere firmato dal Sindaco (o da un suo delegato) entro 48 ore dalla richiesta avanzata da un medico qualsiasi e convalidata da un medico della struttura pubblica (generalmente l'Ufficiale Sanitario). I due medici di cui sopra devono visitare la persona e dichiarare che la stessa:

1. presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. rifiuta la terapia;
3. non possa essere assistita in altro modo.

Perchè la richiesta di ricovero sia valida devono sussistere tutte e tre le condizioni. Non può essere ricoverato coattamente, ad esempio, chi afferma di accettare la terapia.

Va sottolineato poi che il T.S.O. non è valido se i medici che certificano la situazione di urgenza non hanno visto, nè visitato la persona. In questi casi, oltre alla nullità del provvedimento, esistono gli estremi del reato di falso in atto pubblico.

Questa procedura illegale è più comune di quanto si creda (come ben sanno coloro che sono stati sottoposti a ricoveri coatti). E' una comoda scorciatoia che viene seguita sia per quelle persone già note per aver subito ricoveri coatti, sia in risposta a pressioni fatte da familiari e dall'opinione pubblica su medici di famiglia e Sindaco (specie nei piccoli comuni).

Per questo e per poter attivare tutte le procedure di autotutela che la legge prevede, occorre sempre farsi notificare il provvedimento emesso dal sindaco, come è nostro diritto. In mancanza o in attesa di tale provvedimento, nessuno può costringerci a seguirlo, nessuno può praticarci alcuna terapia, nessuno può portarci al Pronto Soccorso. Vanno esclusi naturalmente i casi in cui il nostro comportamento violi norme penali e quelli in cui lo psichiatra può invocare il cosiddetto stato di necessità, disciplinato dall'art. 54 del Codice Penale (pericolo di danno grave alla persona).

In assenza del provvedimento di Accertamento o Trattamento Sanitario Obbligatorio ogni coazione della nostra volontà o limitazione della nostra libertà è illeggittima.

Una volta ottenuta la notifica del T.S.O. i nostri diritti subiscono una drastica limitazione. E' ben poca cosa, ma la legge prevede che si debba rispettare, ove possibile, la nostra scelta circa il reparto in cui essere ricoverati. Rivendicando questo diritto si può tentare di ridurre i danni conseguenti al ricovero in un reparto in cui, per esperienza diretta o indiretta, sappiamo si applicano metodi o terapie che sentiamo intollerabilmente lesive della nostra dignità e integrità psicofisica. Dubito che esistano reparti psichiatrici in cui si possa essere felici di essere confinati, ma di fronte al T.S.O. dobbiamo cercare di ritagliarci tutti gli spazi di diritto che abbiamo a disposizione per difenderci dalla violenza a cui siamo sottoposti.

Una volta che un provvedimento di TSO, legale o illegale che sia, ci è stato notificato, non abbiamo molta scelta.

Alcuni reagiscono e si oppongono fisicamente a quello che ritengono un vero e proprio sequestro di persona. Seppure naturale, tale reazione non produce mai risultati esaltanti. Ricordiamoci infatti che generalmente abbiamo di fronte pubblici ufficiali (vigili urbani, infermieri, medici), mentre noi siamo definiti malati di mente e, quindi, incapaci di intendere e volere. Spingere un vigile urbano che ci trattiene, assestargli un pugno per cercare di scappare, ingiuriarlo, ci espone all'accusa di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Accusa che in situazioni ordinarie non avrebbe gli effetti drammatici che ha nel momento in cui siamo diagnosticati malati. Rischiamo infatti di essere prosciolti dal reato di aver offeso il pubblico ufficiale, ma di essere condotti in manicomio criminale, per un periodo minimo di 2 anni, allo scopo di essere puniti-curati di quanto abbiamo fatto. Perchè? Perchè viene ritenuto insensato tutto ciò che una persona insensata fa.

Se fossimo giudicati come persone normali potremmo rispondere dei nostri reati, assumere tutta la responsabilità e la volontarietà di aver difeso la nostra libertà e, probabilmente, essere condannati ad una pena minima col beneficio della condizionale.

Il T.S.O. è una situazione a rischio. I nostri nervi sono messi a dura prova. L'unica nostra speranza è mantenere, per quanto possibile, il nostro autocontrollo. Ogni nostra reazione produce, oltre al rischio di internamento di cui sopra, anche un attacco psicofarmacologico massiccio che, di fatto, annulla tutte le nostre possibilità di difesa durante il ricovero in ospedale.

Non suggerisco una resa incondizionata all'invasione psichiatrica della nostra esistenza. Personalmente solidarizzo con quanti difendono fino in fondo il loro diritto ad esprimersi e a vivere come desiderano, senza piegarsi o accettare compromessi con nessuno. So però che la psichiatria può diventare molto violenta con chi non si sottomette alle sue regole e so che difficilmente si troverà qualcuno disposto a crederci e a difenderci.

Molti fra coloro che hanno subito più di un T.S.O., e che magari inizialmente si erano opposti con determinazione a tale costrizione, finiscono man mano con l'accettare fatalisticamente ogni ricovero. Non dobbiamo dimenticare che il fine istituzionale della psichiatria è di piegare la nostra volontà. Per far ciò ha creato tecniche e luoghi specializzati e professionisti del lavaggio del cervello.

La lotta contro l'arbitrio psichiatrico è impari. Siamo soli di fronte ad un sistema organizzato per il controllo dei nostri comportamenti e della nostra mente e, soprattutto, non troviamo di norma nessuno disposto a riconoscere il nostro diritto ad opporci a qualsiasi intervento non richiesto nella nostra vita.

L'unico modo che vedo, per ridurre i danni derivanti dal T.S.O. e praticare una difesa possibile da esso, è mantenere dignitosamente la propria lucidità, usando tutte le norme a nostra disposizione per ribaltare i rapporti di forza fra noi e i nostri curatori.

Esistono situazioni e contesti in cui la nostra aggressività paga. Nessun medico se la sente di certificare il nostro ricovero per paura delle nostre ritorsioni, i medici del reparto ci dimettono prima perchè incontenibili, i nostri familiari non insistono per farci assumere le terapie... Il prezzo da pagare per ritagliarsi questi spazi di libertà però è altissimo: si chiama isolamento. Facendo la parte dei pazzi furiosi non allontaniamo solo medicine e medici, ma anche chiunque altro si voglia avvicinare a noi.

La conoscenza delle norme che regolano il TSO ci permette di individuare quali e quante delle azioni che normalmente subiamo dentro un reparto psichiatrico sono, oltre che insensate, anche illegali. Considerato il fatto che le leggi che limitano la nostra libertà, limitano (in teoria) anche quella degli psichiatri; ciò ci permette di aumentare il nostro potere contrattuale all'interno delle istituzioni psichiatriche...senza spargimenti di sangue.

Ma torniamo al TSO. Con la notifica del provvedimento del Sindaco (e soltanto allora) veniamo accompagnati dai vigili urbani presso il reparto psichiatrico di diagnosi e cura che abbiamo scelto, o presso cui si è trovato posto. Contemporaneamente, e comunque entro le 48 ore successive, il Sindaco deve comunicare al Giudice Tutelare del luogo il provvedimento di TSO, affinchè questi, assunte le necessarie informazioni, lo convalidi. In mancanza di questa convalida, che deve essere effettuata entro le 48 ore successive, il provvedimento di TSO decade. Il Giudice Tutelare può anche scegliere di non convalidare il provvedimento, rendendolo così nullo.

Il TSO ha per legge la durata di 7 giorni. E' possibile agli psichiatri del reparto sia richiederne una proroga che proporne la revoca anticipata prima della scadenza naturale. Di questo parleremo fra poco.

Dobbiamo intanto ricordare che è previsto che chiunque ne abbia interesse può proporre al Sindaco ricorso avverso al provvedimento con cui è stato disposto il TSO. Questi è tenuto a rispondere al ricorso entro 10 giorni (!), disponendo la revoca del provvedimento, ovvero rigettando il ricorso.

Questa possibilità di autotutela, in realtà, ci è generalmente preclusa. Intanto perchè i tempi di risposta superano quelli previsti dal ricovero. Poi perchè è illusorio pensare che una persona, soggetta al regime del TSO, ricoverata in un reparto, sottoposta a terapia psicofarmacologica massiva, abbia la libertà di articolare un ricorso o le si lasci la possibilità di farlo pervenire alle autorità competenti.

L'eventualità che l'azione di ricorso parta dall'esterno (ad esempio da amici, familiari, associazioni di tutela...), infine, è fortemente limitata dall'impossibilità di accedere agli atti che hanno determinato il TSO (anche se è previsto che l'internato possa delegare altri all'accesso alla propria cartella clinica e alle informazioni che lo riguardano).

Possiamo tentare di invalidare un TSO cercando di individuarne irregolarità nella forma e nel contenuto. Per quanto riguarda il contenuto di quanto viene dichiarato dai medici che propongono il TSO, del Sindaco che lo emette e del Giudice Tutelare che lo convalida, dovremmo dimostrare che non eravamo in una situazione di alterazione mentale tale da essere necessario ricoverarci, oppure che non rifiutavamo le cure o, infine, che qualunque fosse il problema, lo si poteva risolvere diversamente. La nostra parola contro quella degli psichiatri. Il buon senso qui non ha diritto di cittadinanza. Quel che conta sono le certificazioni mediche.

Per avere qualche speranza di invalidare un TSO uno psichiatra dovrebbe dichiarare che i suoi colleghi hanno sbagliato a valutare la situazione o, peggio ancora, hanno dichiarato il falso. Potrebbe bastare anche che le persone intorno si ribellino a ciò che vedono come un sorpruso e invalidino tutte le circostanze che vengono addotte dai medici come prova dell'urgenza e della necessità del ricovero. Non dimentichiamo che i TSO non rispondono mai ad un'esigenza sanitaria, ma sempre a problemi di conflittualità intrafamiliare o di ordine pubblico.

L'altra via per opporsi al TSO è riuscire a dimostrare che non sono stati rispettati tutti i passaggi formali previsti dalla legge. L'irregolarità più comune, mi ripeto, è quella di medici che certificano la necessità di TSO senza averci visto nè visitato. Cito questa fra le possibili irregolarità che portano all'annullamento del TSO perchè ogni ricoverato ha generalmente una conoscenza diretta dei fatti, piuttosto che delle procedure burocratiche, che riguardano il suo ricovero.

Le irregolarità formali riguardano anche il rispetto dei tempi previsti dalla legge e, soprattutto, l'obbligo imposto ai medici, al sindaco e al giudice tutelare di motivare il ricovero.

E' uso comune usare moduli prestampati o indicare a motivazione della richiesta di ricovero una semplice diagnosi. Spesso manca nelle certificazioni anche la dichiarazione che sono presenti nel caso concreto tutte e tre le circostanze che giustificano il TSO.

Esiste almeno un caso di mancata convalida di TSO effettuata dal Giudice Tutelare di Torino per difetto di motivazione (cfr. Decreto della Pretura di Torino 20 settembre 1981 in Appendice). Ma l'assenza o l'insufficienza di motivazione è una prassi ormai consolidata ed è un'altra delle irregolarità formali più comuni a cui possiamo appellarci per chiedere l'annullamento del TSO.

Se si fa ricorso al Sindaco entro le 48 ore successive al ricovero, conviene inviarne copia al Giudice Tutelare competente, chiedendo di non convalidare il TSO e di disporne la decadenza immediata. Ciò senza aspettare la risposta del sindaco che, come abbiamo detto, potrebbe arrivare a ricovero concluso.

Una volta che il TSO è stato eseguito e convalidato dal Giudice Tutelare, e il Sindaco ha rigettato il nostro ricorso, possiamo avanzare richiesta di revoca al Tribunale. In questo caso va richiesta la revoca immediata del TSO e si può scegliere di delegare qualcuno a rappresentarci in giudizio quando la nostra richiesta sarà discussa in Tribunale.

Tutte le possibilità di autotutela che la legge prevede, si scontrano con la realtà che ai ricoverati psichiatrici (non importa se volontari o coatti) non viene generalmente fornita alcuna informazione sui loro diritti, così come sugli atti che li riguardano.

La loro libertà di movimento, così come la possibilità di comunicare, sono ridotte al minimo. Anzi la costrizione e il sotterfugio sono considerate strategie terapeutiche. Non è raro sentire uno psichiatra consigliare di versare di nascosto tranquillanti nel latte o contrabbandare una fiala di serenase per un disintossicante. Salvo poi provocare la reazione violenta in chi si accorge del trucco e la sua chiusura a qualsiasi intervento sanitario (anche quando questo non ha a che fare con le cure psichiatriche). In questo come in altri casi, è l'intervento psichiatrico a provocare i comportamenti che dice di voler controllare.

L'opinione circa la necessità e l'opportunità di tener nascosto ai ricoverati psichiatrici ciò che viene loro fatto, è diffusa e condivisa anche al di fuori del mondo psichiatrico. Tanto che, pur esistendo una normativa chiara in materia, esiste una impunità di fatto per le violazioni e gli abusi commessi dagli psichiatri ai danni dei loro utenti volontari e involontari.

Bisogna sempre avere chiaro che il potere della psichiatria non sta tanto (o solo) nelle leggi, ma soprattutto nel consenso implicito o esplicito che noi diamo alle sue pratiche. C'è un legame inquietante fra la nostra paura della follia e ciò che abbiamo permesso di fare agli psichiatri; fra i nostri pregiudizi e l'impunità di cui essi godono.

Dal primo momento di ricovero noi dobbiamo chiedere di essere informati su tempi, modalità, tipologie delle terapie che ci verranno somministrate. Il fatto di essere sottoposti ad un trattamento sanitario obbligatorio non inficia il nostro diritto a conoscere il tipo di intervento a cui siamo sottoposti e il fine che intende raggiungere. Non solo. Se non abbiamo la possibilità di rifiutare le terapie, ci rimane il diritto di poter scegliere fra un ventaglio di proposte terapeutiche differenziate. La dichiarazione di accettazione della terapia e l'indicazione del tipo di cura che si ritiene necessaria, fanno venire meno uno dei presupposti che motivano il TSO e permettono di opporsi all'imposizione di terapie che riteniamo troppo invasive (come per esempio quelle psicofarmacologiche). La dichiarazione, possibilmente scritta, da consegnare al Primario del reparto e far pervenire al Giudice Tutelare, deve contenere il nostro impegno ad accettare le terapie, l'indicazione di quali terapie riteniamo più idonee e quali dannose alla nostra integrità psicofisica, la diffida ai sanitari di praticare contro la nostra volontà questi interventi, specificando che li riterremo responsabili di qualsiasi danno esse possano arrecarci. (cfr facsimile in Appendici).

Se non abbiamo avuto modo prima, dobbiamo subito chiedere di conoscere gli estremi del provvedimento di TSO che ci riguarda (motivazioni, certificazioni mediche, provvedimento del Sindaco, convalida del Giudice Tutelare...) e, ove si ravvisi un abuso, chiedere di poter comunicare con il Giudice Tutelare competente per territorio (quello operante nel Comune il cui sindaco ha disposto il TSO).

E' importante aver chiaro che non possono rifiutarsi di metterci in contatto con il Giudice Tutelare, così come non possono impedirci di comunicare con chi riteniamo opportuno.

Il diritto alla comunicazione è nostro. Spesso accade che gli operatori del reaparto decidano, per esigenze terapeutiche, di impedire l'accesso al reparto a persone che vogliamo vedere, consentendolo ad altre che non gradiamo. Questo perchè, durante il ricovero, esiste una determinazione costante a piegare la nostra volontà e renderci disponibili alle cure. Questa esigenza terapeutica cozza chiaramente con il sostegno e/o l'aiuto che potremmo ricevere da parenti e amici che riconoscono le nostre ragioni. Il diritto alla comunicazione è indisponibile ad altri. La legge prevede espressamente che, seppur coatti, noi manteniamo integro tale diritto. Anzi, è posto fra le possibilità di autotutela che abbiamo a disposizione per difenderci da eventuali abusi connessi al ricovero coatto.

Il problema, qui come altrove, è stabilire che margini concreti abbiamo di gestire tale diritto.

In alcuni reparti esistono telefoni pubblici. Nella maggior parte dei casi, la possibilità di comunicare con l'esterno passa attraverso gli operatori. Questi esercitano, com'è prevedibile, a piene mani sia il controllo che il diritto di veto su quello quello che possiamo dire e a chi.

Dobbiamo aver chiaro che non è loro consentito limitare la nostra libertà di espressione di comunicazione. Ogni limitazione è un abuso che va comunicato, in qualche modo, al Giudice Tutelare che vigila sul nostro ricovero coatto. Come? O direttamente, tramite le associazioni di tutela, oppure attivando amici e familiari disponibili. Chiunque ha subito (o rischia di subire) ricoveri coatti, deve tessere una rete di protezione preventiva per poter far fronte a possibili futuri abusi. Un suggerimento potrebbe essere, ad esempio, quello di andare a conoscere e farsi conoscere dal Giudice Tutelare, fornendogli informazioni e comunicandogli le proprie volontà.

Altra azione preventiva, proposta dallo psichiatra Thomas Szasz, è quella della stipula di una sorta di testamento psichiatrico. Szasz suggerisce di sottoscrivere, e depositare presso un legale, una dichiarazione in cui si afferma di essere contrari al proprio ricovero coatto e, in ogni caso, si chiariscono le proprie volontà rispetto a ciò che vogliamo ci venga fatto o risparmiato durante il ricovero. Qualcosa di simile è la procura elaborata dal Telefono Viola di Roma. Dopo l'enunciazione del proprio rifiuto motivato ad acconsentire alle cure psichiatriche non richieste, la persona delega i legali dell'associazione e i suoi soci a rappresentarlo e tutelarlo di fronte alle autorità psichiatriche. (cfr. Testamento Psichiatrico e Procura in Appendici)

Nessuno dei due atti legali impedisce di per sè il nostro ricovero coatto in psichiatria. Essi però permettono di attivare forme di tutela effettiva al momento del ricovero. Atti preventivi necessari anche in considerazione del fatto che le nostre possibilità di scelta saranno forzatamente limitate (o annullate) dopo il ricovero. Sottoscrivere un atto in cui preventivamente si afferma che, nell'eventualità di TSO, autorizziamo l'associazione o la persona X a prendere visione della documentazione che ci riguarda, permette, ad esempio, di poter praticare nella concretezza le possibilità di tutela previste dalla legge.

Una variazione importante sul tema che propongo è quella di integrare le due formule (enunciazione delle proprie volontà e procura ai legali) e di depositare, o comunque portare a conoscenza del Giudice Tutelare, la nostra dichiarazione. Si ottengono così tre risultati: 1. esprimere in modo compiuto le proprie volontà circa le cure psichiatriche a cui si viene sottoposti; 2. delegare preventivamente legali o associazioni della nostra assistenza e tutela durante il ricovero; 3. attivare automaticamente, in caso di ricovero coatto, l'azione di controllo del Giudice Tutelare (che troppo spesso si limita ad una verifica solo formale del provvedimentio inviatogli dal Sindaco).

Una dichiarazione così congegnata permette ad altri, da noi scelti, di attivarsi in nostra difesa anche se noi non riusciamo più a spiccicare una sola parola a causa della terapia, siamo legati al letto o ci impediscono di telefonare. E' un lasciapassare importante che permette di rompere l'isolamento e la zona franca in cui la psichiatria è solita operare.

Mentre siamo ricoverati può capitare che, ad ogni nostro accenno di ribellione o di rifiuto, ci si risponda con violenza verbale o fisica, magari legandoci al letto per punizione. Tale pratica, ancora molto diffusa seppure sia stata sostituita dall'uso massiccio degli psicofarmaci, è un residuo delle pratiche manicomiali. Pratica mai dichiarata fuori legge, come del resto nessuna legge ha mai dichiarato illegale la lobotomia o il coma insulinico.Ciò che in qualsiasi altro contesto non sarebbe tollerato e sarebbe definito maltrattemento o violenza, viene trasformato, durante un ricovero psichiatrico, in un intervento terapeutico.

I mezzi di contenzione, così come vengono chiamati i metodi più o meno rudi di immobilizzare un essere umano, non sono stati mai aboliti dalla legge. Gli psichiatri possono legalmente disporre, in situazioni in cui ravvisano gli estremi di uno stato di necessità (con pericolo grave per l'incolumità della persona loro affidata), che essa venga contenuta. Ma tale azione va motivata e limitata nel tempo.

Qualsiasi sia la motivazione addotta, non è plausibile che si rimanga legati per ore o giorni ad un letto. In questi casi va avanzata denuncia per maltrattamenti e violenze.

A volte la contenzione viene giustificata con la necessità di consentire agli infermieri di praticare una terapia iniettiva (flebo) che, a causa del rifiuto della persona, sarebbe impossibile realizzare. Anche in questo caso, e posto che durante il TSO esiste la possibilità di obbligarci a cure che non accettiamo, la contenzione può essere denunciata come reato se si protrae oltre il tempo strettamente necessario alla somministrazione della terapia.

Tutti coloro che hanno provato sulla loro pelle la contenzione sono concordi nell'affermare il suo carattere prettamente punitivo, aldilà delle buone intenzioni addotte dal personale psichiatrico. A volte ci si trova legati per evitare il pericolo di cadere e farci male per la confusione e la mancanza d'equilibrio causata dagli psicofarmaci. Paradossalmente subiamo unulteriore violenza per difenderci dagli effetti negativi di una terapia che rifiutiamo. Il più delle volte si viene contenuti per impedirci di dare fastidio o di scappare, per difendersi e punirci per la nostra resistenza attiva, per piegare la nostra volontà... In ognuno di questi casi l'uso della contenzione è illegale e va denunciato.

Ricordiamoci però che ciò che è ovvio nel mondo degli esseri umani, non sempre lo è in quello della psichiatria. Dimostrare che ci sia stata violenza nel modo in cui ci hanno trattato in un reparto psichiatrico è cosa molto ardua. Innanzitutto perchè chi è considerato un malato di mente smette di essere creduto come persona. Poi perchè ci è naturale pensare che dai matti occorra difenderci e renderli innocui perchè pericolosi. E' possibile allora che qualcuno venga picchiato o di lui si abusi sessualmente, senza che questi abbia la possibilità di denunciare i fatti e far punire i colpevoli.

Chi è disposto a credere ad un pazzo? La sua parola contro quella di onesti cittadini, sani di mente, che tentano di guarirlo. La storia ha dimostrato da che parte sta la follia e la violenza, nonostante questo gli internati psichiatrici continuano ad aver meno credito di chi ha praticato per decenni la costrizione, la distruzione sistematica dei corpi, dei cervelli e delle menti di persone loro affidate.

Due consigli pratici per potere impostare un'azione legale contro gli abusi di contenzione fisica subiti in un reparto:

1. presentare al primario del reparto una memoria scritta in cui si denunciano gli abusi subiti, chiedendo che venga inserita in cartella clinica. La legge regionale siciliana sulla tutela dei pazienti dei servizi sanitari prevede, in tal senso, che un cittadino possa dettare note circa il suo stato di salute e quant'altro ritiene necessario da trascrivere nella propria cartella clinica. Questa possibilità va usata anche per dichiarare le proprie allergie agli psicofarmaci, la mancanza di informazioni sulle terapie somministrate, nonchè tutto ciò che si ritiene lesivo della propria salute psichica e fisica;

2. annotare i nomi degli operatori responsabili degli abusi che si intende denunciare e le generalità dei ricoverati presenti in reparto. Se è facile invalidare la parola di un matto, diventa difficile invalidare la testimonianza di più matti.

E' esperienza comune a quanti abbiano richiesto la cartella clinica del proprio ricovero psichiatrico, trovarvi inesattezze e omissioni anche consistenti. Le pratiche di contenzione subite spesso scompaiono. Non c'è traccia di tutte le nostre richieste e denunce. Quando si accenna al nostro rifiuto delle cure e alle nostre richieste di dimissione, queste vengono inserite come sintomi della nostra situazione patologica. Molte delle affermazioni degli psichiatri si basano su quanto riferito dai nostri familiari. La nostra credibilità viene sempre messa in dubbio, contribuendo a togliere peso a quanto possiamo denunciare in seguito.

La cartella clinica è l'unico documento ufficiale del nostro ricovero. E' importante che in essa compaia il nostro punto di vista, se vogliamo che le nostre denunce vengano prese in considerazione.

Una copia di quanto si consegna al primario va conservata. E' importante fare arrivare copia di quanto consegnato al Giudice Tutelare. Ciò è più facile se ci si è preventivamente tutelati appoggiandosi ad un'associazione per i diritti umani. In ogni caso si può delegare un amico o anche un compagno di prigionia, liberato prima di noi, a far pervenire al Giudice Tutelare la nostra memoria. In ogni caso ricordiamo che abbiamo diritto di comunicare con lui in qualsiasi momento.

Il TSO, come abbiamo detto, ha la durata di sette giorni. Scaduto questo periodo esistono tre possibilità:

1. si viene dimessi;

2. si rimane ricoverati ma in regime di ricovero volontario;
3. si proroga il TSO.

In tutti e tre i casi, la decisione va comunicata al Sindaco che ha disposto il TSO. Nel caso in cui non viene rinnovato, possiamo scegliere se rimanere in reparto o essere dimessi. Abbiamo diritto di sapere se il TSO è stato prorogato e di avere notificato il provvedimento di proroga del Sindaco.

Fra i poteri del responsabile del reparto c'è anche quello di revocare anticipatamente il TSO.

La proroga avviene con le stesse procedure che abbiamo descritto per il TSO. Il Sindaco firma il provvedimento sulla base delle certificazioni mediche fornite dai sanitari dell'ospedale e invia il tutto al Giudice Tutelare per la convalida. Anche se non si è fatta alcuna azione di ricorso al TSO, si può avanzare richiesta di revoca all'eventuale proroga (o proroghe) a cui siamo sottoposti. Revoca e ricorsi al Sindaco e al Tribunale, vanno fatti secondo le modalità di cui abbiamo parlato per quanto riguarda il TSO.